di Pasquale Giordano
Tivoli - Capita, a volte, che un risultato sportivo travalichi i confini dell'ambito sportivo e si attesti in quello delle imprese significative.Questa è una storia di vita e di rugby ed è proprio da qui che si parte. Con la fine dell'apartheid la nazionale sudafricana di rugby fu anche ammessa per la prima volta a partecipare alla coppa del mondo di rugby nel 1995, edizione della quale il Sud Africa era proprio la nazione ospitante.La vittoria finale arrise proprio alla Nazionale di casa, che in finale sconfisse la Nuova Zelanda. La finale della terza edizione della Coppa del Mondo di rugby XV rimarrà per sempre una delle pagine più emozionanti della storia di questo sport e della RSA.
Il 24 giugno 1995, all'Ellis Park Stadium di Johannesburg,Jacobus Francois Pienaar, capitano springboks, guidò i suoi ragazzi alla conquista della coppa del mondo in finale contro i mostri sacri All Blacks. Durante la premiazione ricevette dalle mani di Nelson Mandela il trofeo che poi si preoccupò di alzare in aria. Prima dei festeggiamenti, prima dei ringraziamenti, ci furono gesti significativi: preghiere di gruppo, Nelson Mandela che con indosso la casacca verde degli springboks passeggiò sul prato dello stadio; uno sport capace di unire più persone sotto la bella bandiera sudafricana. Fu una giornata storica che da sola non riuscì a sanare le problematiche del Sudafrica (questa è un'altra storia) ma che rimase, ad imperitura memoria, come uno degli attimi in cui una vittoria sportiva ha il gusto nobile della vita.
Il 26 febbraio uscirà in Italia il film Invictus, ovvero la trasposizione cinematografica di questa impresa. La sceneggiatura è basata sul romanzo The Human Factor: Nelson Mandela and the Game That Changed a Nation di John Carlin.
Il film diretto da Clint Eastwood annovera tra gli altri Morgan Freeman nei panni di Nelson Mandela e Matt Damon in quelli di Francois Pienaar. Quasi sicuramente farà incetta di premi alla prossima consegna degli Oscar, noi aspettiamo con impazienza di vedere sugli schermi un film che racconta di rugby e di leggende e intanto ci facciamo raccontare da chi il rugby lo vive tutti i giorni i valori e la tradizione di questo sport.
La nostra guida ha le parole di Cristian Cerquatti, allenatore della formazione Under 18 dell’Amatori Tivoli Rugby.
Cristian qual è stato il ruolo del rugby in Sudafrica?
Il rugby non è stato fondamentale in quel processo, anche perché era una situazione che valicava i confini sportivi, ma grazie ai valori e al tipo di gioco ha segnato dei passaggi che a livello di opinione pubblica hanno lasciato un segno. Di fatto ha contribuito alla formazione di una nuova nazione. Il rugby, per sua natura, ha una tradizione e una formazione elitaria, ma paradossalmente questo, invece di essere uno svantaggio, consente di creare uno spazio franco per superare tutte le differenze di razza, come in Sudafrica all’indomani dell’ascesa di Nelson Mandela, ma anche fisiche perché a rugby ci possono giocare tutti, dall’alto e magro al basso e grasso. Non stupisce il ruolo che si è ritagliato proprio perché è nella natura del rugby superare le differenze in vista di un obbiettivo più importante quale poteva essere la riunificazione di una nazione.
Tu parli di valori, ma quali sono questi valori?
Se pensi alla natura stessa del gioco, passi la palla dietro con lo scopo fondamentale di andare avanti, capisci come è già un allenamento per superare le difficoltà della vita avendo la percezione della collettività. Come si porta la palla in avanti? Con il sostegno dei compagni. Sostenere il compagno per continuare ad avanzare con la consapevolezza che il singolo come tale non è nulla se non è inserito in un contesto che lo sostiene e lo spinge a migliorarsi. Il sacrificio del singolo per la logica più importante che è la logica della squadra. Ogni metro conquistato è figlio del sacrificio del singolo e della squadra. In più, essendo uno sport di contatto fisico, ha delle componenti di estremo rigore, di estrema disciplina. Come dice Claudio Angeli (direttore tecnico Amatori Tivoli Rugby, ndr) “Il rugby è una scuola di vita”.
Hanno senso questi valori nella società odierna?
La nostra generazione è cresciuta con dei valori importanti quali la famiglia e la scuola, oggi questi pilastri sono meno presenti. Adesso lavorano entrambi i genitori e quindi hanno meno tempo per seguire i figli. La scuola sta attraversando una fase involutiva figlia del periodo e di altri fattori. All’interno di una squadra di rugby, invece, ogni singolo elemento è responsabilizzato, ognuno apporta la propria carica agonistica all’interno del terreno di gioco ma , finita la partita, si fa il corridoio agli sconfitti o si passa all’interno del corridoio dei vincitori.
Cosa sarebbe il corridoio?
Il corridoio è il tributo che la squadra vincitrice tributa alla squadra avversaria. Ci si posiziona davanti all’ingresso degli spogliatoio e si formano due ali di rugbisti che formano appunto un corridoio. Chi ha perso, passa in mezzo e riceve gli applausi dei vincitori che, in questo modo, rendono loro merito e li ringraziano per l’impegno messo in campo. Dove altro lo trovi un rapporto così forte e contemporaneamente così leale tra vinti e vincitori?
E il terzo tempo?
Durante l’ultima Irb World Cup (coppa del mondo di rugby) disputata in Francia era molto difficile organizzare il terzo tempo, per la dislocazione dei quartieri generali delle nazionali e per la necessità che queste facessero rientro subito dopo la partita. L’Australia incontrò nella prima giornata il Giappone e vinse 91-3. Alla fine della partita non venne organizzato nessun terzo tempo, ma gli australiani ritennero che questa fosse un’offesa alla tradizione del rugby e quindi irruppero nello spogliatoio giapponese portando due birre ciascuno,una per sé e l’altra per un avversario. Non c’era nessuna polemica, nessun processo, i giapponesi non erano arrabbiati per aver subito tanti punti. Finita la partita era cominciato il momento di stare insieme bevendo e ridendo. Questa è la forza dirompente del rugby.
E allora secondo te perché non attecchisce in Italia?
Piano piano sta guadagnando sempre maggiore dignità e importanza. La croce dei cosiddetti sport minori, ma che poi minori non sono, è la visibilità che non hanno. Il tutto secondo me è riconducibile alla popolarità e alla facilità che altri sport hanno. Tutti noi abbiamo giocato a pallone per strada o in piazza, basta avere una palla e un po’ di fantasia. Il rugby è nato nei college inglesi ed è molto difficile vedere dei bimbi giocare a rugby in piazza. Ciononostante , lentamente, i valori e la tradizione del rugby si stanno diffondendo anche in Italia. Magari servirà più tempo, ma credo che sia molto fortunato chi gioca o ha giocato a rugby oppure nutre una passione.
Perché?
C’è un ragazzo che è venuto a giocare con noi l’anno scorso. È arrivato che era molto timido, che aveva pochi amici. Adesso segna molte mete, è più aperto e se magari prima aveva un amico adesso ha un intera squadra di amici. Alla fine, lo scopo dello sport quale deve essere? Quello di vincere a tutti i costi o quello di aiutare e preparare un ragazzo a come affrontare la vita di tutti i giorni? Il rugby, ci è stato insegnato, è uno sport di situazioni. Noi creiamo ai ragazzi le situazioni e le occasioni per crescere. Un rugbista la propria realizzazione la trova non in campo ma nella vita, nella quotidianità.
Se questo fosse uno spot per il rugby quale slogan utilizzeresti?
Il motto dei Barbarians “Rugby Football is a game for gentlemen in all classes, but for no bad sportsman in any class.“ (Il rugby è un gioco per gentiluomini di tutte le classi sociali ma non lo è per un cattivo sportivo, a qualsiasi classe appartenga.). La vita è una lotta continua. Così come nell’agone, se hai le qualità personali e morali che ti permettono di superare ogni difficoltà allora non sarai solo campione nello sport ma uomo nella vita. Come dico ai miei ragazzi: anche se non giocherete più a rugby spero che questo sport vi lasci dentro qualcosa e vi renda delle persone migliori.
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Articolo pubblicato su "XL Quindicinale per le Associazioni la Cultura e il Tempo libero" numero 4 del 25 febbraio 2010
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