esperienze comunicative nel bagaglio da viaggio di un aspirante storyteller

mercoledì 19 maggio 2010

La danza del rugby

di Pasquale Giordano

Marius Cristi Chitu
Questo è il rugby, signori, uno sport in cui si gioca solo per la gloria, per l’onore, non esistono soldi e non esistono benefit per i giocatori.
Tutt’al più hai in omaggio la tuta, ma solo se te la sei guadagnata, solo se dimostri di tenerci. Non importa se sai giocare a rugby, non importa se sei veloce o potente, il rugby non è nulla di più che una danza. È vero, ogni tanto ci scatta la “strattonata di maglia” all’avversario, ma quel che dai in campo ricevi in campo. Se sei leale esci dal campo nelle stesse condizioni in cui sei entrato, se sei scorretto sai che non passerà troppo tempo prima che qualcuno lo sia con te. Non esistono bluff e non esistono acconciature che durino più di due minuti, esiste la paura che ti accompagna prima di scendere in campo e ti abbandona quando tocchi il pallone durante il riscaldamento. Non è paura di farsi male, tutt’altro , è la paura di non essere all’altezza dei tuoi compagni. Il rugby è fango e orgoglio, è sorridere per aver sospinto indietro l’avversario. Non esistono offese all’arbitro, anzi, non si parla proprio con l’arbitro. Chi arbitra non ha necessità di urlare per farsi sentire perché chiama accanto a sé il capitano e parla solo con lui. Quando chiama la mischia, l’arbitro, nonostante si trovi davanti uomini zozzi di fango, li chiama “signori”. Addirittura in Inghilterra li chiama “gentleman”, gentiluomini.
Il rugby è una danza. Cosa direste di un uomo che corre saltellando per non farsi placcare? Cosa direste di due uomini che sollevano un terzo per raccogliere la palla in aria? Cosa direste, infine, di chi si china velocemente per raccogliere una palla che potrebbe schizzare da una parte all’altra senza preavviso?
La palla, così particolare e così preziosa, assomiglia ad una bella donna con la quale puoi fare al massimo un giro di valzer, ma poi devi lasciare che anche altri abbiano l’onore. E ti sacrificherai perché gli “altri” siano della tua squadra.
Il rugby è la vita: lavoro, impegno, sofferenze, gioie, timori, esaltazioni. Non esistono protagonisti, da soli non andrebbero da nessuna parte, esistono squadre composte da giocatori meravigliosi. Non bravi o belli, semplicemente meravigliosi. Mettono la testa dove molti di noi non metterebbero nemmeno i piedi. È una somma di sacrifici. È un buffetto consolatorio sulla nuca del tuo compagno che ha appena perso una palla che a te era costata fatica recuperare. È fratellanza e unione. Un abbraccio tra due giocatori di rugby è sincero. Uno dei due abbraccia perché preoccupato che l’altro possa scappare: si chiama placcaggio. E poi ci sono le cene e i terzi tempi. Qualche tempo fa Prandelli costringeva la Fiorentina ad attendere gli ospiti davanti all’ingresso degli spogliatoi per salutarli. I giornalisti chiamarono quello “Terzo tempo”, ma il terzo tempo è un rito del rugby che si svolge dopo la partita. Quando giocatori delle due squadre, tifosi e arbitri si fermano a bere e mangiare insieme. È là che nascono le amicizie, è là che impari a rispettare i piloni che mangiano più degli altri perché, a loro dire, hanno consumato più degli altri.
Come dice spesso Vittorio Munari che questo sport lo consce meglio di molti altri in Italia: “Nel rugby ci sono quelli che suonano il piano e quelli che lo spostano." Io amo la buona musica.



[Articoli pubblicati su "XL,Quindicinale per le Associazioni la Cultura e il Tempo libero" numero 10 del 20 Maggio 2010, pagina 23.]

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