
Tivoli - La questione “acqua” non è figlia dei nostri tempi ma si perde lontano nei libri di scuola. Senza dover compiere un viaggio lunghissimo, basta consultare Il Vecchio Aniene, settimanale per gli interessi tiburtini e regionali, stampato dal 1905 a Tivoli. La memoria storica è monca di alcuni passi a causa dei numeri mancanti, ma è possibile ricostruire la questione acque già dal febbraio (presumibilmente da prima, ecco uno dei primi tasselli mancanti) 1905 ha occupato buona parte del foglio tiburtino.
Scegliamo di proposito di cominciare a rivisitare la storia del ventesimo secolo tiburtino dalla lunghissima lettera che l’Ingegner Carlo Bassani fa pubblicare sul Vecchio Aniene ,in data 14 maggio 1905, e che introduce con dovizia quella che il direttore del settimanale Roberto Bobbio fece titolare “La questione acque”. Da quel momento, ciclicamente, la questione si ripropone a tutti i tiburtini: “Trattasi degli interessi vitali di questa città; che per posizione, per clima, per ricchezze naturali, per la vicinanza di Roma, per le memorie antiche, per la fertilità della terra, per l’attiva bontà e naturale intelligenza degli abitanti e per le molteplici industrie di cui sarebbe capace, dovrebbe essere il bijou d’Italia e anche del mondo, il Tibur Superbum ed invece, malgrado gli sforzi di buona volontà è oggi ridotto a … [punteggiatura di C.B.].
La grande, disastrosa rotta del 1826 che rovinò mezzo Tivoli, tenendo sospesi gli opifici cittadini, indusse il Governo Pontificio alla […]allor colossale perforazione del Catillo (1835) […] ma ancora al formale riconoscimento sovrano degli antichi diritti degli utenti sulle acque derivate dall’Aniene (dalla Porta o Ponte di San Giovanni al loro ritorno nell’alveo naturale del fiume stesso); purchè venissero conservate le opere necessarie di difesa e di presa e mantenute le bellezze delle sue cascate, a cura e spesa di tutti gli utenti, di cui il principale il Comune di Tivoli”. Fu creato, quindi, un consorzio idraulico perché si occupasse della “questione acque”, il consorzio prese il nome di Consorzio Idraulico Rivarola in ossequio alla grande personalità del Rivarola che “tanto si prodigo per dar lustro a noi”.
Il consorzio funzionò validamente fino al 1870 quando: “[…] purtroppo la nuova êra italiana gli fu deleteria, come a tante altre cose!”
Nel 1870 la direzione del consorzio passò dalle mani di un vice-prefetto a quelle del Sindaco che: “accentrò a sé tutte le funzioni in modo che […] l’ufficio consorziale si confuse con quello comunale. […] Gli utenti (opifici, ndr) si industriarono […] ad aumentare le loro portate, deviando il corso del fiume, senza rendere partecipe il comune […]. Soltanto allora tutti si svegliarono quando videro che le loro acque finivano col prendere la via di Frascati e coll’inondare Roma di luce ed energia a spese delle fabbriche cittadine.”
In sostanza i privati tiburtini, diretti beneficiari per diritto sovrano, cominciarono a reclamare l’usufrutto delle acque. Il Governo Pontificio fece lo stesso quando accertò che il Comune di Tivoli non provvedeva a far rispettare le leggi ne a riscuotere le tasse previste. Nacque un contenzioso tra il Comune e il Governo Pontificio. Grazie all’intervento del cav. Fabio Mastrangeli, sindaco di Tivoli, il comune riuscì a rivendicare i propri diritti sulle acque dell’Aniene che -secondo il regio decreto del 1865, entrato in vigore nel 1870 - erano di proprietà demaniale, riservandosi la possibilità di rifarsi sui privati che avevano costruito corsi d’acqua per uso privato (per lo più fabbriche e cartiere che funzionavano grazie all’energia idraulica).
Superato il primo ostacolo si riprese a litigare tra chi, tra il consorzio rappresentato dal Comune e il Governo Pontificio, avrebbe dovuto incassare i tributi dovuti ma mai riscossi. Il Governo Pontificio reclamava per se le concessioni pregresse che ammontavano all’incirca a 160.000 lire tra rinunce alle concessioni future e concessioni ancora pendenti e che non avrebbe smesso di far pesare. La rendita annuale di 36.000 lire era percepita dall’ingegner Carlo Bassani come un sopruso e un’usurpazione ai danni dei cittadini ai quali lancia un accorato appello affinché si stringano al Sindaco nella lotta. Addirittura si chiede: “[…] se il libero consenso degli utenti in ciò il Governo non l’avrà mai; vorra egli, quale governo liberale, presceglierà di ricorrere alla violenza?”
Il Comune stabilisce che sulle nuove concessioni ha facoltà di richiedere “6 lire a cavallo” e pretendere “4 lire a cavallo” per le vecchie concessioni che fino a quel momento non avevano fruttato soldo.
Come detto siamo nel 1905 e Il consorzio Rivarola pur essendo “[…]un vero monumento di sapienza antica romana in questo genere, da cui tutti i consorzi, vecchi e nuovi, avrebbero da imparare”, ha bisogno di migliorie “per andare incontro ai tempi che cambiarono”. Si riscontra la necessità di dotare il consorzio di un nuovo regolamento che cominci col sostituire i termini “Gonfaloniere” con “Sindaco” e “Delegato delle acque” con “Comune”. Bisognerebbe aggiungere, opinione dell’ingegnere, all’usufrutto a vantaggio del comune, e quindi di tutti i tiburtini, anche le Cascatelle che non fanno parte del letto del fiume essendo acque derivate ma che permettono a diversi privati di muovere le pale idrauliche delle loro fabbriche senza pagare alcunché. È necessario istituire un ufficio che si occupi del consorzio, indipendente dal comune, in modo che questo non gravi sulla gestione della res pubblica. In sede di assemblea degli utenti, il consorzio dovrebbe possedere un decimo dei voti decisionali in modo che nessuno possa vantare pretese in futuro o possa agire spinto da interessi personali.
[continua…]
Pasquale Giordano
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